sabato 22 novembre 2008



Vivo ma sconfitto

Avete mai tentato di impiccarvi? Io sì. Sapete come si fa un nodo scorsoio? Io quasi.
Avevo deciso di imparare a farne uno, il giorno che volevo far penzolare il mio corpo da una trave. Mi procurai uno di quei libri marinareschi in cui si illustrano i vari tipi di nodi. Mi ci ero applicato con l’entusiasmo che solitamente si profonde quando si ha voglia di vivere, piuttosto che quando si vuole cessare di farlo, e dopo poco ero riuscito a farne uno tosto, ordinato, gagliardo. Almeno così mi pareva.
Come nel più classico dei film western presi uno sgabello, legai un capo della corda a un punto fermo, passai l’altro capo, quello con lo scorsoio, al di sopra della trave, allargai il cappio e vi infilai la testa. Fui pervaso per un attimo da un senso di potenza e di libertà mai provato prima. Decidevo io e non Dio, il destino, il fato avverso, quando fosse il momento di morire. L’uomo è condizionato per tutta la sua vita da quella che Nietzsche chiamava la “volontà di potenza”: il riconoscimento dei propri limiti e l’irresistibile stimolo a volerli superare. Ambizione destinata alla delusione. Quel momento invece sarebbe stato il primo e l’ultimo in cui avrei potuto indirizzare il mio destino oltre il mio limite, travalicare le forze esterne a me. Almeno così mi pareva.
Diedi un calcio allo sgabello. Chiusi gli occhi. Lo scorsoio scorse. Troppo. Avevo allargato eccessivamente il cappio e mal considerato la lunghezza che la corda avrebbe consumato per stringere la presa al mio collo. Il risultato fu che se da un lato il mio collo era stretto nella morsa, all’estremità opposta le punte dei miei piedi toccavano il pavimento. Ero quasi sospeso, ma non abbastanza. Se cercavo di tirar su le gambe per permettere alla corda di soffocarmi, la morsa mi toglieva la forza necessaria per ritrarre gli arti inferiori, se poggiavo le punte dei piedi a terra la stretta si allentava e con lei l’abbraccio della morte.
Vaffanculo Nietzsche e la volontà di potenza. Vaffanculo l’autodeterminazione. Il problema ora era come cazzo uscirsene da quella situazione. Certo, avrei sempre potuto aspettare di morire di fame e di sete.In fondo se ciò che ti aspetta è il nulla, tutto ciò che ti accade prima perde di significato. L’ho sempre sostenuto che il suicida tutto sommato è solo un impaziente, per cui non sarebbe stato qualche giorno di agonia a svilire la forza del progetto. Ma c’era una cosa che mi sembrava insopportabile: la figura del coglione che avrei fatto quando mi avrebbero ritrovato. Si, lo so che la cosa è in evidente contraddizione con quanto sostenuto fino ad ora, ma questa era la mia sensazione. L’idea che nei bar, nelle piazze, sui luoghi di lavoro, nell’apprendere la notizia, la gente sghignazzasse sulla mia inettitudine, sull’aspetto ridicolo della cosa e non sull’atto eroico del suicidio, perché tale io lo consideravo, mi avrebbe reso dannato per l’eternità. Perchè il messaggio che io avrei lanciato all’umanità decidendo di morire era chiaro: andate tutti a prendervela in quel posto, posso fare a meno di voi, della vostra banalità. Anzi,posso fare addirittura a meno di me.
Ma questa fine ingloriosa mi sembrava troppo mortificante.
Mentre mi dimenavo disperatamente, cercando di raccogliere le poche forze rimaste per sottrarmi al penzolio intermittente, accadde la cosa peggiore che potesse accadermi in quel momento. E’ proprio vero che non esiste situazione abbastanza disperata da non poter peggiorare. Si spalancò la porta e sulla soglia apparve Henry.
- “Che cazzo stai facendo?”, urlò mentre si precipitava verso di me.
- ”Mi sto scopando tua sorella” avrei voluto rispondergli, se solo avessi potuto.
Mi sollevò prendendomi per le gambe, la corda si allentò e io riuscì a malapena ad alzare le braccia per sfilarmi il cappio dal collo. Dopodichè svenni stremato. Mi risvegliai in una stanza d’ospedale, piantonato da un poliziotto e sotto l’occhio scrutatore di amici, parenti, infermieri e medici. Henry, infatti, si era premurato di avvertire l’avvertibile. Inoltre, aveva raccontato l’accaduto a portantini, garzoni del bar, addetti alle pulizie, familiari di altri degenti e chissà chi altri. Il suo racconto con il passare delle ore si arricchiva di nuovi e accattivanti particolari. L’eroe buono che salva l’amico aspirante suicida era per lui un copione troppo allettante per derogarvi. A un medico, come seppi successivamente, aveva raccontato che al suo arrivo la casa era in fiamme,che lui vi ci si era buttato dentro e che una volta raggiuntomi aveva strappato la corda che mi stringeva il collo a mani nude.
Avrei dovuto trascorrere il resto della mia vita a sorbirmi i pipponi pedagogici di Henry, le sue tirate sulla mia inattitudine alla ragionevolezza. Il tutto senza mai fiatare, perché lui non avrebbe mai mancato di farmi osservare che mi aveva salvato la vita e che io ero un misero ingrato. Del resto il fatto che il mio maestro di vita, colui che mi avrebbe spiegato come si sta al mondo, il mio salvatore, non fosse altro che un semialcolizzato, puttaniere e menzognero, la diceva lunga sulle mie qualità umane e sul mio equilibrio mentale.
Ma io ad Henry, per un qualche misterioso motivo, volevo bene e gli avrei perdonato qualunque cosa. Quello che veramente mal sopportavo in tutta questa storia era l’ampliarsi in modo esponenziale di una sensazione che già provavo in precedenza, che mi aveva sempre angustiato e che ora mi aspettava al varco più che mai. Da quel momento avrei inevitabilmente dovuto subire sguardi e parole che mi sarei volentieri risparmiato. Occhiate compassionevoli e frasi di circostanza avrebbero scandito il mio prossimo futuro. Scrive Pessoa:” A volte, quando meno me lo aspetto, mi prende alla gola il soffocamento della banalità e provo nausea per la voce e per i gesti del cosiddetto mio simile. La nausea fisica diretta, sentita direttamente nello stomaco e nella testa, stupida meraviglia della sensibilità svegliata….Qualsiasi individuo che mi parli, qualsiasi occhio che mi fissi, mi colpiscono come un insulto o come un’oscenità. Trabocco di orrore per tutto. Mi sento stordito dal sentire che li sento.”
Cercavo la morte per essere libero e mi ritrovavo più schiavo di prima. Vivo ma sconfitto. Il destino aveva vinto ancora una volta.

(Jaenada)

11 commenti:

gaz ha detto...

Molto, molto bello questo racconto...
amaro, disilluso e incredibilmente vivo, nonostante la morte aleggi.
Credo proprio che tornerò a leggerti.

Ciao

JAENADA ha detto...

Benvenuta Gaz.Ti ringrazio per la tua benevole e interessanti considerazioni.Quando tornerai sarai sempre la benvenuta.

Ciao

Spippy ha detto...

Okay, lo ammetto, mi stai sul serio facendo preoccupare. Il post precedente parla di suicidio.. e va bene, ci può stare, è una tematica a dir poco interessante ed attraente. Vieni da me e lasci un commento tratto da "Il libro dell'inquietudine".. commento che dell'ottimismo di Tonino Guerra non ha nemmeno una virgola. Torno qui e che ti trovo? La cronaca di un tentato suicidio firmata Jaenada in persona...

Guarda che, se ti appendi a un cappio, noi che siamo al di qua dello schermo non possiamo mica vederti...mi dici poi come faremmo a deridere in pubblico il tuo tentativo suicida fallito?!!

JAENADA ha detto...

Non temere,la prossima volta non fallirò.



:))))

Marlene ha detto...

"i pipponi pedagogici" e la foto poco eloquente ma di una realtà devastante tolgono forza ad una scrittura che trovo capace di catturare e trascinare con sè il lettore. su con la vita.

JAENADA ha detto...

Certo,invece di "pipponi pedagogici" avrei potuto usare sermoni,prediche,lezioni etc. ma pipponi mi divertiva di più....ognuno ha le sue debolezze :)

Grazie per gli elogi (ma anche per le piccole critiche :))

Vorrei rassicurare amici e parenti:sto benissimo :)

Lara ha detto...

Non sapevo, mentre leggevo. se preoccuparmi o ridere. In effetti li ho provati entrambi.
Bellissimo racconto e blog stupendo!
Non suicidarti per favore, perché devo tornare a leggerti:)

Complimenti!

JAENADA ha detto...

Ok,ma lo faccio solo per Te.Però ricordati:avrai un vivo sulla coscienza :))

Grazie dei complimenti e benvenuta.

Faby ha detto...

A volte gli amici ci salvano nei momenti più disperati. Quando tocchiamo il basso e ci sentiamo sconfitti dalla vita sono gli amici come Henry a farci sentire vivi.

Ross ha detto...

Io invertirei le parole del titolo: sconfitto ma vivo.

Come sempre, gran bel racconto. Anzi, per certi aspetti anche più intenso del solito.

JAENADA ha detto...

@faby: pienamente d'accordo.Solo che spererei in amici un pò meno stronzi dell'adorato Henry :)

Baci

@ross: ci avevo pensato anch'io,ma poi ho ritenuto che sottolineare il senso di sconfitta sia più appropriato per chi fallisce anche nel proprio suicidio :)

Grazie dell'apprezzamento.Un pò di dramma,un pò di farsa,un pò di commedia.Come nella vita. :)

Ti abbraccio.