lunedì 27 ottobre 2008



UN GRIDO

Nato nel ’10 mio zio, figlio di un napo­letano buio e di una americana lumi­nosa, portava con eleganza la bellezza di ventura che gli incroci producono al­meno per una generazione. Da giovane svolgeva incarichi presso una compagnia di navigazione. Con gli ultimi documenti andava alla partenza delle navi. Vedeva restare sul molo pezzi di famiglie mutilate dai distac­chi. Tutti gli addii del sud finivano a quel molo, si strappavano lì tutti i le­gami. Si era abituato a vedere le separazioni, non ci badava, del resto già da molti anni la gente nostra aveva preso a smaltire la miseria nelle Americhe. In periodi precedenti c’erano state perfino colonne di uomini agli imbarchi della White Star Line.

Fu lui che raccontò a mia madre il grido. Era uno dei tanti. Non poté spiegarsi perché quello, non un altro o nessuno, si fosse impresso nella membrana acustica dell’anima. Il solito piroscafo carico di uomini partiva nell’ultima luce di un giorno d’aprile tiepido, splendente. Sul molo tacevano gli addii, inutili per la distanza, perché la poppa della nave gremita di facce era già all’altezza della diga foranea.

Allora una donna con i capelli bianchi e il vestito nero, dolore e anni addosso dappertutto, gridò con tutta l’aria che aveva trattenuto. Sul primo silenzio del distacco fresco, gridò da sirena, da cagna, da madre, a sillabe stracciate : Sal va to re e. Un nome solo, chiamato e perso a gola rotta, ferì a vita mio zio, giovane impiegato bello, elegante, bravo a cantare e a suonare la chitarra a orecchio. Quando lo raccontava la sua voce scendeva in un tono spezzato e ripeteva in sordina, ma certo esattamente, quel grido. Gli saliva la pelle d’oca. Sapeva cantare a memoria e ripetere musiche ascoltate anche una sola volta. Sapeva ripetere a orecchio quel grido. I dolori hanno, una chiave di violino per chi è musicista di dentro. Una ve­rità può essere colta da un passante, un estraneo può trasmetterla più fedelmente di chi la conosce e la patisce. Non avrebbe potuto cambiare niente, ripeteva quel grido sillaba su sillaba da sirena, da cagna, da madre. Si stampa a caldo e a caso il dolore degli altri su di noi. Mia madre lo ascoltò da lui. Se l’udito è coppia d’altro senso, esso è la pelle. Anche la sua, nel grido, si increspava. Era anche lei intonata e sapiente di vecchie canzoni, sapeva ripeterlo, squarcio di lenzuolo asciutto che si straccia. Attraverso di lei è arrivato fi­no a me che lo affido al definitivo si­lenzio di un resoconto. Non provo a ri­peterlo, stono, non trattengo le musi­che, le loro voci esatte. Ci metto molto a imparare un canto. Voglio bene a chi non ha disperso il grido. Non sciupare il seme, prescrive un arduo comandamento. Raccoglierne qualcuno, è una più accessibile conse­gna contro il fitto spreco del vivere. Per un uomo potrebbe bastare.
Il grido, la voce condividono la natura del seme. Lasciar detto più che lasciar scritto incita la memoria degli altri a custodire. Lo sapeva chi sparse al vento e agli uomini le rare parole, chi pensò che in quello consistesse il fecondare e che le orecchie fossero fiori per le api.

Salvatore : il nome strillato nel porto di Napoli intorno al 1930 si è scorporato dal dolore che lo pronunciò, come dalla persona che lo portava via con sé. Contro il mare, la nave, gli uomini strappati e nominati invano, quel grido torna alla sua origine di bestemmia generale


(E.De Luca,Il contrario di uno)

9 commenti:

Faby ha detto...

JAENADAAAAAAAAAAAAA!
JAE
NA
DA!!!!!!!!!
=)

JAENADA ha detto...

:-) "Allora una donna con i capelli bianchi e il vestito nero, dolore e anni addosso dappertutto, gridò con tutta l’aria che aveva trattenuto....".

Ma allora quella che vedo non è la tua foto :)))

Maria Rita per Tango Out ha detto...

Non conoscevo De Luca, ma ho avuto l'opportunità fi farlo grazie al Caffè Letterario. A distanza di qualche mese, lo incontro nuovamente... mi sorprende sempre di più. Penso che sia uno dei più grandi artisti dei nostri tempi... perchè bisogna essere dei veri artisti per emozionare profondamente e incisivamente il lettore.

PS - complimenti per la scelta del pezzo musicale, lo trovo molto adeguato...

JAENADA ha detto...

Sono d'accordo con Te.La sua scrittura densa,costruita,pensata riesce ad entrare nella complessità delle cose raccontate senza però mai perdere la capacità di evocare ed emozionare.E tra l'altro,a differenza di altri scrittori,è anche molto piacevole da ascoltare quando si esprime a voce.

P.S. Grazie.
Ti abbraccio.

Faby ha detto...

Weeeeeeeeeeeeee...smack:)

Marlene ha detto...

hai pubblicato uno dei miei scrittori preferiti. che dire? grazie per questo magnifico regalo...e non dico alro, perchè sarei troppo di parte.
p.s.: perdoni la mia assenza?

JAENADA ha detto...

Perdono,a fatica ma perdono.... :)
Sono contento che anche tu faccia parte del novero dei Deluchiani.Anche tu come lui leggi l'aramaico ogni mattina? :)

Marlene ha detto...

ma quale aramaico. se spulci fra le pagine del mio blog trovi almeno un paio di post su erri. magari te li segnalo, però in privato. non voglio certo farmi pubblicità.
perdonata?

JAENADA ha detto...

Excuse me,ho scritto aramaico ma intendevo ebraico antico (quella pippa di Mel Gibson deve avermi subliminalmente influenzato con il suo filmaccio) :)
Cmq se vuoi illuminarmi la mia mail è francischiello23@libero.it :)