lunedì 8 giugno 2009





Il buco nero


Quando decisi di calarmi nel buco nero del mio essere lo feci perché convinto che in qualunque istante avrei potuto risalire verso la luce. Non avevo calcolato che a certe profondità si perde il senso dell’orientamento. Non avevo previsto (come avrei potuto del resto?) che così come le vette montuose anche le profondità sottraggono lucidità.
“ Chi vuol vivere felice deve stare in superfice ” mi diceva un amico psichiatra. Proprio lui che aveva scelto di aiutare le persone a scavare. Come se la superficialità fosse una pratica da allenare e non un’indole, un permanente involontario stato di grazia.
L’assunto del mio amico medico però aveva il pregio di fotografare la metà almeno di ciò che sembrava vero. Infatti se in superfice regna la serenità, allora è negli anfratti più profondi di Se che spadroneggia la sofferenza (non che l’uomo superficiale non conosca la sofferenza dell’Io, ma quella deriva più dagli involontari rigurgiti che promanano dal profondo che dal suo consapevole setacciare) e avventurarsi nelle viscere del proprio essere è quindi cosa sconveniente e oltrettutto parzialmente evitabile. Perchè farlo allora?
Scrive Dostoevskij nelle “Memorie dal sottosuolo” : “ E come mai voi siete così fermamente, così solennemente convinti che soltanto ciò che è normale e positivo, in una parola soltanto ciò che apporta prosperità, è vantaggioso per l’uomo? (…) Non può darsi che la sofferenza sia per lui vantaggiosa esattamente nella stessa misura della prosperità? E all’uomo talvolta piace terribilmente la sofferenza, gli piace alla follia, e anche questo è un fatto. Qui non è il caso d’interrogare la storia universale: interrogate piuttosto voi stessi, se soltanto siete uomini e se avete vissuto almeno un po’ ”. Dostoevskij era quindi dalla mia parte.
Per i primi periodi presi a calarmi con parsimonia, piuttosto circospetto. Erano brevi puntatine verso il basso più che vere e proprie incursioni nel sottosuolo. Mi resi presto conto però che esercizi di questo tipo avevano poco senso e per molti versi erano anzi dannosi: toglievano l’apparente tranquillità della superfice senza aprire agli sconfinati orizzonti dell’oscurità. La tristezza e la depressione non patologica, contrariamente a quanto si pensi, non derivano dall’essere piombati nel buio dell’anima ma dal non esserci piombati del tutto.
Dovevo guardare in faccia i sensi di colpa, prendere per la collottola i miei limiti, fissare negli occhi il marcio del rancore e il putrido del riprovevole che albergavano in me. E soprattutto prendere coscienza del carattere tragico dell’esistenza. Solo così sarei potuto arrivare in fondo al buco nero.
Una sera allora ne parlai con Henry. Dopo quello di Dostoevskij, volevo sentire anche il suo parere. Henry prima mi guardò a lungo. Poi disse:
- “ Vedi Frank, credo che esistano modi più semplici per spiegarsi il perché Nadine adesso scopi con un altro ”.

(Jaenada)

7 commenti:

la signora in rosso ha detto...

toccare il fondo!

Lara ha detto...

La battuta finale (quella di Henry) è un capolavoro.
Eppure i sottosuoli vanno perlustrati e tutto ciò che emerge, va vissuto o ri-vissuto sulla nostra pelle, credo.
Ciao Jaenada!
Lara

cristina ha detto...

Quando ho cominciato a scavare ero certa fosse un passaggio giusto e obbligato, per poter poi riaffiorare in superficie con una nuova serenità e una nuova consapevolezza. Credevo che in quel modo sarei riuscita a darmi delle risposte che sarebbero diventate le fondamenta di una nuova vita, non dico felice, ma quanto meno senza più conflitti interiori, improntata alla chiarezza. Vederci chiaro era diventato il mio chiodo fisso. Ma più scavavo (più scavo) e più nebuloso vedevo (vedo). Insomma, senza farla tanto lunga...forse dovrei concordare col tuo amico Henry. Non non so più fino che a punto, nel mio caso, il voler scandagliare il fondo sia un atto di coraggio e dove inizi la volontà di autopunirmi... ;)

gaz ha detto...

Non ti ho mai nascosto la mia simpatia per la filosofia di vita di Henry, il suo scarnificare brutalmente la realtà, il suo cinico realismo, lo adoro perchè rappresenta l'opposto... io come Frank a volte non vedo l'ovvio.

Anonimo ha detto...

"Anche le profondità sottraggono lucidità", verissimo e molto bello...

Antonia Storace ha detto...

"La tristezza e la depressione non patologica, contrariamente a quanto si pensi, non derivano dall’essere piombati nel buio dell’anima ma dal non esserci piombati del tutto".

Dall'aver compiuto quel viaggio soltanto a metà.Dal non aver avuto il coraggio,o la forza,o l'incoscienza,di arrivare fino in fondo,sul fondo.Dal non aver scoperto,ne imparato,dove e quanto lontano quell'oscuro sentiero avrebbe potuto portarti.
Forse si soffre quando non ci si conosce abbastanza,o quando,conoscendosci e conoscendo anche il peggio che alberga in noi,in ognuno di noi,lo combattiamo,detestandolo e non accettandolo come connaturale,come parte di un io più grande che ci rende uomini,che ci rende umani.


Un sorriso.Antonia.

JAENADA ha detto...

@signora in rosso: E poi cominciare a scavare :)

@lara: Quando Henry fa così è davvero disarmante :)

@cristina: Poco male,c'è anche chi a forza di autopunirsi comincia a prenderci gusto.Mi ricordo la storiella di quel tale,masochista,che godeva tutte le mattine a farsi una doccia gelata.E allora se la faceva calda :)

@gaz: "Scarnificare brutalmente la realtà" mi sembra proprio la definizione appropriata.Ciao Gaz.

@laura: Grazie.Riferirò a Frank il tuo apprezzamento :)

@antonia: "Diventa ciò che sei" diceva il buon Nietzsche. "Frattaglie" comprese :)