venerdì 8 maggio 2009




UN GRIDO

Nato nel ’10 mio zio, figlio di un napo­letano buio e di una americana lumi­nosa, portava con eleganza la bellezza di ventura che gli incroci producono al­meno per una generazione. Da giovane svolgeva incarichi presso una compagnia di navigazione. Con gli ultimi documenti andava alla partenza delle navi. Vedeva restare sul molo pezzi di famiglie mutilate dai distac­chi. Tutti gli addii del sud finivano a quel molo, si strappavano lì tutti i le­gami. Si era abituato a vedere le separazioni, non ci badava, del resto già da molti anni la gente nostra aveva preso a smaltire la miseria nelle Americhe. In periodi precedenti c’erano state perfino colonne di uomini agli imbarchi della White Star Line.

Fu lui che raccontò a mia madre il grido. Era uno dei tanti. Non poté spiegarsi perché quello, non un altro o nessuno, si fosse impresso nella membrana acustica dell’anima. Il solito piroscafo carico di uomini partiva nell’ultima luce di un giorno d’aprile tiepido, splendente. Sul molo tacevano gli addii, inutili per la distanza, perché la poppa della nave gremita di facce era già all’altezza della diga foranea.

Allora una donna con i capelli bianchi e il vestito nero, dolore e anni addosso dappertutto, gridò con tutta l’aria che aveva trattenuto. Sul primo silenzio del distacco fresco, gridò da sirena, da cagna, da madre, a sillabe stracciate : Sal va to re e. Un nome solo, chiamato e perso a gola rotta, ferì a vita mio zio, giovane impiegato bello, elegante, bravo a cantare e a suonare la chitarra a orecchio. Quando lo raccontava la sua voce scendeva in un tono spezzato e ripeteva in sordina, ma certo esattamente, quel grido. Gli saliva la pelle d’oca. Sapeva cantare a memoria e ripetere musiche ascoltate anche una sola volta. Sapeva ripetere a orecchio quel grido. I dolori hanno, una chiave di violino per chi è musicista di dentro. Una ve­rità può essere colta da un passante, un estraneo può trasmetterla più fedelmente di chi la conosce e la patisce. Non avrebbe potuto cambiare niente, ripeteva quel grido sillaba su sillaba da sirena, da cagna, da madre. Si stampa a caldo e a caso il dolore degli altri su di noi. Mia madre lo ascoltò da lui. Se l’udito è coppia d’altro senso, esso è la pelle. Anche la sua, nel grido, si increspava. Era anche lei intonata e sapiente di vecchie canzoni, sapeva ripeterlo, squarcio di lenzuolo asciutto che si straccia. Attraverso di lei è arrivato fi­no a me che lo affido al definitivo si­lenzio di un resoconto. Non provo a ri­peterlo, stono, non trattengo le musi­che, le loro voci esatte. Ci metto molto a imparare un canto. Voglio bene a chi non ha disperso il grido. Non sciupare il seme, prescrive un arduo comandamento. Raccoglierne qualcuno, è una più accessibile conse­gna contro il fitto spreco del vivere. Per un uomo potrebbe bastare.
Il grido, la voce condividono la natura del seme. Lasciar detto più che lasciar scritto incita la memoria degli altri a custodire. Lo sapeva chi sparse al vento e agli uomini le rare parole, chi pensò che in quello consistesse il fecondare e che le orecchie fossero fiori per le api.

Salvatore : il nome strillato nel porto di Napoli intorno al 1930 si è scorporato dal dolore che lo pronunciò, come dalla persona che lo portava via con sé. Contro il mare, la nave, gli uomini strappati e nominati invano, quel grido torna alla sua origine di bestemmia generale

(E.De Luca,Il contrario di uno)

3 commenti:

la signora in rosso ha detto...

che bello, questo libro mi è piaciuto moltissimo... questo pezzo anche..

Lasciar detto più che lasciar scritto incita la memoria degli altri a custodire....che grande verità, quante cose noi conosciamo perchè sono state tramandate oralmente da padre in figlio...

Antonia Storace ha detto...

Io non l ho ancora letto,ma ammiro molto E.De Luca.

Mi ha fatto venire la pelle d'oca.

"I dolori hanno, una chiave di violino per chi è musicista di dentro. Una ve­rità può essere colta da un passante, un estraneo può trasmetterla più fedelmente di chi la conosce e la patisce".

Un sorriso.Antonia.

maria rosaria ha detto...

invitante questo stralcio del libro del grande de luca.
una compagna o una moglie generi di conforto, è fantastica!
bacio