mercoledì 6 febbraio 2008



La felicità/6

Nel momento in cui si è felici,l'oggetto del desiderio occupa per intero la presenza fino a velare il dolore o,quanto meno,a lasciarlo sullo sfondo come un già avvenuto,disinnescato dalla sua ferocia,senza più sofferenza.Eschilo nell'Agamennone ritrae questa singolare sensazione di felicità - anch'essa istantanea - ove la pena è mantenuta,ma come fosse pietrificata:se ne ha chiaro il ricordo,ma non se ne sente più il dolore.All'araldo che giunge gioioso,annunciando il ritorno in patria,il corifeo (guida del coro nella tragedia greca) si rivolge con queste parole: "Che tu sia felice,araldo dell'esercito acheo".A quest'accoglienza augurale l'araldo risponde."Felice sono:nè più m'importa ora,se così piacesse agli dèi,di morire".
Felicità e morte.E'un modo di dire,ma non solo:esso esprime un'implicazione fondamentale,un essenziale legame.Si tratta evidentemente di un legame simbolico,ove l'indifferenza alla morte è indice di sazietà,di perfezione raggiunta.La felicità,in quanto realizzazione piena,non vuole ulteriorità,caso mai vuole durata,che è altra cosa.Si tratta appunto di espandere l'attimo ed evitare che cada.In questo caso uno dei modi per conservarlo,e perciò per conservarsi in esso,è morire.Quando si rientra nel flusso della vita,la perfezione dell'attimo è perduta:si torna ad essere incompleti.Non è un caso,e men che mai è una convenzione banale,se nel melodramma gli amanti normalmente muoiono:è una necessità.Essi devono morire,perchè il loro amore possa durare eternamente nella perfezione assoluta.

(S.Natoli,La felicità)

E mò pozzo pure murì
(Gennaro Montuori,alias Palummella,capo ultras Napoli,al termine di Napoli-Fiorentina del 10/05/87 che sancì la matematica conquista del primo scudetto del Napoli Calcio)

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