domenica 20 luglio 2008



La bellezza è rivoluzionaria

Quando è cominciata la decadenza di Napoli? Quando la vide Dumas,Napoli era una città morente, ma non del tutto defunta: non era ancora diventata un museo della memoria. Un attimo dopo tutto sarebbe precipitato,con ingannevole lentezza, in un ralenti che avrebbe illuso a lungo. Sarebbe cominciata allora la sua storia a parte, il suo diventare parodia di se stessa, la sua trasformazione in luogo comune. Quando è cominciata la decadenza di Napoli? Un secolo fa, tre secoli fa, sei secoli fa. Forse non c'è mai stato un prima della decadenza. O c'è stato davvero un Eden. O forse la decadenza è cominciata ora. Ora quando? Quando non si riesce più a vedere la realtà. Quando tutto il bene si fa ricordo e tutto il male diventa presente. Quando l'oblio assoluto è sceso su quella fragile luce paradisiaca che risplendette anche su Dumas. Quando un popolo illuso da un benessere fasullo diventa complice ipocrita dei suoi carnefici politici. Quando i fatti ciechi e sordi sostituiscono la poesia che inventa la vita. Quando il massacro utilitario e conformista del vendere e comperare fa dimenticare che la bellezza è sempre rivoluzionaria. Quando l'incubo dell'economia regna incontrastato e le avventure sono tutte finite. Quando ci si dimentica che l'Eden è sempre da riconquistare. Quando si comincia a pensare che è troppo tardi. Ora.
(G.Montesano,Prefazione al libro "I Borboni di Napoli" di A.Dumas)


Vorrei raccontarvi una storia che riguarda Elvira Reale, psicoterapeuta napoletana con trent'anni di esperienza sulle psicopatologie di genere. Un giorno le sottopongono il caso di una giovane donna gravemente depressa: non regge più i tira-e-molla del suo fidanzato, pensa solo al suicidio. La ragazza è chiusa nella sua angoscia, muta, si dondola avanti e indietro. Sarebbe da ricoverare. Ma Elvira fa un tentativo: "Tu non parli" le dice "ma puoi ascoltarmi. Ti chiedo tre mesi, non di più. Rimanda fino ad allora, e poi decidi. A suicidarti fai sempre in tempo". Poi prende il fidanzato aguzzino e gli intima di levarsi di torno. La ragazza è ancora al mondo. Elvira ha saputo accompagnarla fuori dal suo buio. Solo con le parole, senza ricovero, senza farmaci. Di questa storia, oltre la lieto fine, mi sono piaciute tre cose: l'assunzione di responsabilità, anche se le cose potevano finire male, ed è raro che un terapeuta sia disponibile a correre un rischio del genere; quel pragmatismo femminile, quello "sporcarsi le mani" mettendosi in mezzo, senza tante storie, tra la vittima e il suo carnefice; e soprattutto la profonda fiducia nella relazione, senza la quale la vita non è vita, si rischia di morire, e vale per tutti, non soltanto per chi è depresso. Mi viene in mente un grande scrittore napoletano, Domenico Rea: lui diceva che qui a Milano parlavamo tutti "o scientifico, o inglese". La lingua che parliamo ormai è solo quella. Con la sua paziente, Elvira Reale non ha parlato nè scientifico nè inglese. Ha scelto la lingua materna, l'autorità che risana, il corpo-a-corpo della relazione primissima.
In questi giorni penso a Napoli, a quanta gente di valore vive lì, a quanta intelligenza vi circoli: e credo che il nerbo stia proprio in questo talento per la relazione, talento che resiste, sia pure in tanto strazio. Lo dico soprattutto ai giovani: non facciamoci l'idea che lì c'è solo l'immondizia. Quello che di lì potrebbe venirci, insieme a questo peggio, è anche il nostro meglio.

(M.Terragni,Corriere della Sera)

2 commenti:

Maria Rita per Tango Out ha detto...

Il Belpaese è una miniera di diamanti: Napoli è uno dei più preziosi. E' auspicabile che gli italiani riportino alla luce il fascino del capoluogo campano piuttosto che il suo degrado, a mio parere evidenziato oltremodo sull'onda dei recenti avvenimenti a tutti noi ben noti. Sebbene sia una terra di personaggi illustri (da Arbore a Carosone, da De Crescenzo a Vico, da Imposimato a Bianchi, da Loren a De Filippo, da Troisi a De Sica, solo per citarne alcuni), una culla di tradizioni immortali (come il presepe o la pizza), un teatro di arte e di culutura (si pensi ai suoi castelli, alle sue piazze, ai suoi monumenti, alle sue ville), Napoli sembra esserci più nota per 'a monnezza... Che il famoso detto "vedi Napoli e poi muori" inizi a legarsi al problema della spazzatura piuttosto che alla bellezza di questa città?

JAENADA ha detto...

Il mese scorso sono stato a vedere "Gomorra".La cosa più stupefacente di questo film è la capacità di rendere quello che vuole mostrare esattamente per ciò che è nella realtà (che conosco).Zero stereotipi,zero retorica,zero folklore,zero buonismi.Ciò che se ne deduce è una realtà di un decadimento morale disarmante,dove primitivi meccanismi di sopraffazione si mescolano a simboli e prodotti di una società globalizzata e post-industriale che in nome del profitto ha smarrito ogni riferimento etico e culturale.
Qualcuno non ha apprezzato il film perchè sostiene che Napoli non è solo quella e che non se ne può dare sempre e solo un immagine negativa.Chi conosce Napoli sa bene che non è solo quella.E tu dimostri di conoscerla.
Io credo però,che al di la dell'analisi sociologica (la mia) e della valutazione sulla prevalenza o meno degli aspetti positivi su quelli negativi,le vicende narrate in "Gomorra" e nelle cronache quotidiane rendano Napoli un esempio paradigmatico per ognuno di noi e trovano nel sue essere città "esagerata" in ogni propria manifestazione uno specchio distorto,ma pur sempre riflettente,di una realtà più generale.Mancanza di visione comune e strategica,dittatura della cultura del profitto,individualismo esasperato,regressione culturale,sono temi che credo riguardino,chi più chi meno,ogni singola realtà del nostro paese.

P.S. Da una psicologa mi sarei aspettato un commento sulla seconda parte del post.Ma forse preferisci tenere lontano il lavoro da questo luogo di "diversificazione"... :-)

Grazie per la partecipazione.